IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella causa a carico di Fanni
 Tommaso, nato il 13 febbraio 1975 a Cagliari, ivi residente in via F.
 Borromini n. 7, p. 2, marinaio in servizio su nave Libeccio, imputato
 del reato continuato di furto militare (art. 81  c.p.v.,  c.p..  230,
 comma  1,  c.p.m.p.) "perche' essendo in servizio alle armi presso la
 nave ''Libeccio'' in La Spezia,  con  piu'  azioni  esecutive  di  un
 medesimo disegno criminoso, al fine di trarne personale profitto, tra
 il  29  ottobre 1997 e il 31 ottobre 1997, all'interno delle camerate
 della caserma Piomarta. si impossessava di n. 2 telefonini cellulari,
 sottraendoli ai militari Siciliano Ciraulo Paolo e Tocco Cristian.".
   All'odierna  udienza   dibattimentale,   immediatamente   dopo   la
 costituzione  delle  parti,  il  difensore  dell'imputato ha eccepito
 l'illegittimita' costituzionale, per violazione degli artt.  3  e  24
 Cost.,  dell'art.    230, comma 1 c.p.m.p., in relazione all'art. 624
 c.p., come modificato dalla legge 25 giugno 1999, n. 205; il  p.m.  a
 aderito a tale eccezione.
                             O s s e r v a
 L'art.  12  della legge 25 giugno 1999, n. 205 (delega al Governo per
 la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale  e
 tributario)  ha aggiunto all'art. 624 c.p. un comma che prevede:  "Il
 delitto e' punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra
 una o piu' delle circostanze di cui agli  artt.  61,  n.  7)  e  625,
 c.p.".    Per  quanto riguarda i reati commessi prima dell'entrata in
 vigore della legge citata, l'art. 19  del  medesimo  testo  normativo
 dispone  che,  se  la  persona  abbia avuto in precedenza notizia del
 fatto  costituente  reato,  il  termine  per  la  proposizione  della
 condizione  di procedibilita' decorra dalla data in cui e' entrata in
 vigore la legge n. 205/1999 (13 luglio 1999).   Inoltre,  tale  norma
 prevede che, in pendenza del relativo procedimento penale, il giudice
 debba  informare  la  persona  offesa  dal  reato  della  facolta' di
 esercitare il diritto di querela; in quest'ultimo  caso,  il  termine
 decorre  dal  giorno  in  cui  la  persona  e'  stata informata.   La
 questione eccepita appare rilevante, in primo luogo, per il  tipo  di
 reato  attribuito  all'imputato,  in  ordine  al quale non sono state
 contestate circostanze aggravanti.    Secondariamente,  la  rilevanza
 della  questione, benche' proposta nella fase degli atti introduttivi
 al dibattimento, deriva  sia  dall'obbligo  stabilito  dall'art.  129
 c.p.p.  per  il  caso in cui manchi una condizione di procedibilita',
 sia dalla necessita' d'informare la persona offesa  dal  reato  della
 facolta' di esercitare il diritto di querela, secondo quanto previsto
 dall'art.  19  della  legge  n. 205/1999.   Inoltre, per il combinato
 disposto degli artt. 431, lett a), c.p.p.  e 491, comma 2, c.p.p., e'
 nella fase delle questioni preliminari che potrebbe  essere  eccepito
 tempestivamente  il  mancato  inserimento della eventuale querela nel
 fascicolo per il dibattimento.   Nel merito, questo,  giudice,  preso
 atto  che  il richiamato art.  12 fa esplicito riferimento unicamente
 al reato di furto previsto dall'art. 624 c.p.,  non  ritiene  che  la
 nuova   disposizione   legislativa   possa   essere   estesa  in  via
 interpretativa anche al reato di furto militare,  previsto  dall'art.
 230  c.p.m.p.  Al riguardo, militano la natura tassativa del richiamo
 al solo reato comune e ragioni di  certezza  giuridica;  criteri  che
 questa Corte costituzionale ha indicato con la sentenza n. 272 del 25
 luglio  1997,  a  proposito dell'applicabilita' dell'ultima amnistia,
 oltre che al reato previsto dall'art. 640, comma 2,  c.p.,  anche  al
 corrispondente  reato  militare,  previsto  dall'art.  234,  comma 2,
 c.p.m.p.  Nel recente passato, l'omessa estensione ai reati  militari
 di  modifiche  introdotte  per  le  fattispecie penali comuni ad essi
 corrispondenti  ha  gia'  determinato  situazioni   di   sopravvenuta
 illegittimita'  costituzionale.    Nella sentenza costituzionale n. 2
 dell'8 gennaio 1991, che ha interessato il reato  di  furto  militare
 d'uso  (art.  233, primo comma, n. 1 c.p.m.p.), in relazione al reato
 di furto d'uso (art. 626, comma 1, n. 1, c.p.), si osserva  che  "...
 non  si  ravvisano  valide  esigenze, proprie del consorzio militare,
 tali da rendere razionalmente giustificabile  la  cosi'  sopravvenuta
 diversificazione  di disciplina del furto militare d'uso, rispetto al
 furto d'uso comune ..." e si evidenzia, piuttosto, l'identita'  della
 condizione alla quale si ricollegano tali fattispecie.  Questa Corte,
 con  sentenza n. 448 del 4 dicembre 1991, comparando tra loro i reati
 di peculato (art. 314 c.p.) e peculato militare (art. 215  c.p.m.p.),
 ne  ha sottolineato "la sostanziale identita'", ritenendo irrazionale
 che le modifiche introdotte per la norma penale  comune  non  fossero
 state  estese  anche  a quella penale militare.  Tale orientamento e'
 stato ribadito anche con la gia' citata  sentenza  Costituzionale  n.
 272  del  1997;  nonostante sia stato sottolineato che, in materia di
 amnistia,  spetta  al  legislatore   una   competenza   esclusiva   e
 difficilmente  sindacabile,  circa  l'individuazione  dei  criteri di
 scelta dei reati cui applicare la speciale causa estintiva.  Ai  fini
 che    qui   interessano,   la   natura   eccezionale   dell'istituto
 dell'amnistia rende particolarmente significativa la sentenza  appena
 indicata, dove i reati previsti dagli artt. 640, comma 2, c.p. e 234,
 comma  2,  c.p.m.p.  sono  ritenuti  "perfettamente  corrispondenti";
 nonostante la loro differente  pena  edittale  e  malgrado  il  reato
 militare  sia  caratterizzato  dagli  elementi  specializzanti  della
 qualita' di  militare  del  soggetto  attivo  e  dell'amministrazione
 pubblica  danneggiata.    A  proposito di questi ultimi due elementi,
 anzi, si e' precisato in sentenza che nessuno di essi avrebbe  potuto
 fornire  una  coerente giustificazione alla disparita' di trattamento
 sottoposta al giudizio della Corte.  La questione che le parti  hanno
 prospettato  al  tribunale militare richiede un attento confronto tra
 il reato comune di furto (art.    624  c.p.)  e  il  reato  di  furto
 militare  (art. 230, comma 1, c.p.m.p.).  In primo luogo, da un punto
 di vista meramente sistematico, si nota che  entrambi  i  reati  sono
 classificati,   nei   rispettivi   codici,  tra  i  reati  contro  il
 patrimonio.  Tale   comune   inquadramento   e'   gia'   un   sintomo
 dell'identita'  dei beni giuridici tutelati dalle norme in raffronto;
 caratteristica, quest'ultima, che non e' propria  di  ogni  relazione
 che intercorre tra i reati non esclusivamente militari (privi, cioe',
 dei  requisiti  indicati  dall'art.  37, secondo comma, c.p.m.p.) e i
 reati comuni ad essi corrispondenti.  Passando alla comparazione  dei
 precetti normativi, si individuano, quali elementi specializzanti del
 reato    di furto militare, la qualita' militare del soggetto attivo,
 del soggetto passivo e del luogo in cui il delitto e' stato commesso.
 Per quanto riguarda le prime due  peculiarita'  del  reato  di  furto
 militare,  la richiamata giurisprudenza costituzionale ha mostrato di
 non ritenerle cosi'  significative  da  determinare  una  sostanziale
 diversita'  tra  la  norma penale militare e la speculare fattispecie
 comune. Inoltre, poiche' puo' essere qualificato come furto  militare
 soltanto   il   fatto   che   presenti   tutti  e  tre  gli  elementi
 specializzanti anzidetti,  ne  deriva  che  lo  status  militare  del
 soggetto  attivo  e  del titolare del bene giuridico protetto risulta
 addirittura irrilevante, qualora il reato non sia stato  commesso  in
 luogo militare.  L'elemento costitutivo del "luogo militare", dunque,
 rappresenta  una  piu'  marcata  caratterizzazione del reato previsto
 dall'art. 230 c.p.m.p.; il cui ultimo comma,  del  resto,  indica  la
 nozione  di  luogo militare agli effetti della legge penale militare.
 Occorre stabilire, tuttavia,  se  il  requisito  del  luogo  militare
 assuma  una  tale  importanza  da giustificare   rilevanti divergenze
 dalla normativa penale comune che, nel caso posto  all'attenzione  di
 questo  giudice, si sostanzierebbero nella costante procedibilita' di
 ufficio  per  il  reato  di  furto  militare.    Un  primo   rilievo,
 complementare  a  quelli  gia'  svolti  a  proposito  della  qualita'
 militare dei soggetti del reato,  mostra  come,  in  luogo  militare,
 possano essere commessi reati di furto riferibili all'art.  624 c.p.,
 ogniqualvolta  difetti la qualita' di militare nel soggetto attivo, o
 nel soggetto passivo oppure in entrambi i soggetti.  Di  conseguenza,
 la  natura  militare  del locus commissi delicti, richiesta dal reato
 previsto dall'art. 230 c.p.m.p., anziche' esprimere  una  particolare
 esigenza  di  tutela sembra rivolta, piuttosto, a delimitare l'ambito
 di applicabilita' della norma penale speciale.   Il  luogo  militare,
 del  resto,  e'  un  elemento  costitutivo proprio anche del reato di
 furto (militare) d'uso,  previsto  dall'art.  233,  comma  1,  n.  1,
 c.p.m.p.; tuttavia tale circostanza non e' stata ritenuta di ostacolo
 alla  pronuncia  della citata sentenza costituzionale n.  2 del 1991,
 dove la fattispecie comune e quella militare sono state valutate come
 sostanzialmente corrispondenti.   Passando ad  esaminare  il  profilo
 sanzionatorio  delle  norme  in  esame, si rileva che il reato di cui
 all'art. 624, comma 1, c.p. e' punito con la reclusione  fino  a  tre
 anni  e  con la multa da L. sessantamila a un milione; mentre la pena
 edittale per il reato di furto militare previsto dall'art. 230, comma
 1, c.p.m.p. e' costituita dalla sola reclusione militare da due  mesi
 a  due  anni.   L'esame comparato dell'astratta entita' di tali pene,
 dunque, mostra che per il reato comune di furto e' stabilita la  pena
 pecuniaria  e  la  pena detentiva massima piu' elevata; mentre per il
 reato di furto militare e' fissato il minimo di pena  detentiva  piu'
 elevato.    Si puo' affermare, quindi che gli elementi specializzanti
 propri del reato di furto militare non  abbiano  comportato  un  pena
 piu'  severa,  rispetto  alla  fattispecie comune.   Anzi, estendendo
 l'esame  anche  agli  artt.  625  c.p.  e  231  c.p.m.p.,  rispettive
 circostanze  aggravanti  per  i  reati di furto in argomento, si puo'
 constatare che la norma penale  comune  contempla  sempre  pene  piu'
 elevate rispetto a quella militare.  A questo punto, si ritiene utile
 ricercare  nella  relazione  per  l'approvazione  del  codice  penale
 militare di pace le ragioni delle richiamate scelte legislative.   La
 inclusione  nel codice penale militare di reati che hanno per oggetto
 la lesione di un interesse gia' tutelato dalla legge penale comune e'
 stata motivata (par. 115 Rel. c.p.m.p.)  con  l'esigenza  di  rendere
 inapplicabili  le  pene  stabilite  dal  codice  penale;  questo, sia
 perche' esse comprendono pene pecuniarie,  considerate  incompatibili
 con  l'indole  del reato militare, sia perche' ritenute non "adeguate
 alla entita' effettiva del fatto, avuto riguardo  al  suo  movente  e
 alle  condizioni  di  persona  o  di  ambiente",  ne'  "proporzionate
 all'entita' dei reati".   In verita', il  tenore  letterale  di  tali
 espressioni  non  chiarisce  se la paventata inadeguatezza delle pene
 comuni sia stata intesa per eccesso  o  per  difetto.  L'operato  del
 legislatore,  tuttavia,  chiarisce in modo inequivocabile che le pene
 previste per i reati comuni  furono  considerate  sproporzionate  per
 eccesso;  a  tale  conclusione  si  perviene confrontando le sanzioni
 previste per i reati militari di cui agli artt. da 215 a 237 c.p.m.p.
 e quelle relative ai corrispondenti  reati  comuni.    L'esame  della
 relazione  al  codice  penale  militare,  nella  parte specificamente
 riguardante l'art. 230 c.p.m.p. (par. 121), chiarisce la  genesi  del
 minimo  di  pena  fissato  in  due mesi di reclusione militare per la
 fattispecie disciplinata dal primo comma di  tale  norma;  si  legge,
 infatti,  che:  "e' stato mantenuto il minimo della pena nella misura
 stabilita dai codici penali militari del 1869, i  quali  consentivano
 di  infliggere",  per  l'appunto,  "la  pena  di  due mesi di carcere
 militare".  Pertanto, le ragioni del piu'  elevato  minimo  edittale,
 caratteristico  del  furto  militare,  non  sono ricollegabili ad una
 ritenuta maggiore gravita' della fattispecie speciale; ma, piuttosto,
 ad  esigenze di continuita' con la codificazione militare previgente.
 La  minor  gravita'  del  furto  militare,  giustificabile   con   la
 particolare  situazione  di  convivenza  cui  i militari sono tenuti,
 trova riscontro anche nella  vigente  normativa  processuale  che,  a
 differenza  del  furto  previsto  dall'art.  624  c.p., espressamente
 richiamato dall'art. 381, comma 2, lett. g), c.p.p., non consente  in
 ogni  caso  l'arresto  in flagranza per tale reato militare.  Secondo
 l'art. 12 della legge 25 giugno 1999, n. 205, come si  e'  visto,  la
 punibilita'  a  querela  del  reato  previsto  dall'art.  624 c.p. e'
 esclusa quando ricorra una o piu' delle circostanze di cui agli artt.
 61, n. 7) e  625  c.p.;  occorre  verificare,  dunque,  la  possibile
 incidenza  di  tali  circostanze rispetto al reato di furto militare.
 Per quanto concerne l'art.  61,  n.  7  c.p.,  esso  e'  direttamente
 applicabile  alla  legge penale militare in virtu' dell'art. 16 c.p.;
 l'art. 625 c.p., invece, essendo una circostanza aggravante  speciale
 e',  evidentemente,  applicabile al solo reato previsto dall'art. 624
 c.p.  Occorre rilevare, tuttavia, che tra l'art. 625  c.p.  e  l'art.
 231  c.p.m.p.  esiste uno stretto legame, reso esplicito dalla stessa
 relazione al codice penale militare di pace (citato par.  121),  dove
 si  afferma:  "l'art. 231 riproduce le circostanze aggravanti dei nn.
 2, 3, 4 e 5 dell'art. 625 del codice penale; le sole, cioe',  di  cui
 puo'  ricorrere  l'applicazione in tema di furto militare".  Nei casi
 richiamati dalla relazione, in effetti, l'art. 231 c.p.m.p.  coincide
 esattamente con l'art. 625  c.p.;  inoltre,  rispetto  ad  essi,  non
 presenta  ulteriori o diverse circostanze. Si puo' affermare, quindi,
 che l'art. 625 racchiude in se' tutti gli elementi indicati dall'art.
 231 c.p.m.p., e che le ulteriori circostanze  contenute  nella  norma
 comune sono logicamente incompatibili con il reato di furto militare.
 In   base   a   queste   considerazioni,   appare   rispettosa  della
 discrezionalita'  del  legislatore  una  pronuncia  che  adegui  alla
 Costituzione  l'art.    12 della legge 25 giugno 1999, n. 205 tale da
 sostituire, in relazione al reato di furto militare,  il  riferimento
 all'art. 625 c.p. con l'art. 231 c.p.m.p.; ovvero che, semplicemente,
 rimandi alle concrete circostanze elencate nell'art. 625 c.p.
   L'istituto  della querela trae origine dall'interesse dello Stato a
 stabilire una graduatoria dei valori sociali,  ai  quali  ricollegare
 una  tutela  differenziata in relazione alla qualita' degli interessi
 violati.
   Ogni reato, infatti, anche qualora incida sulla sfera  del  singolo
 individuo,  lede  comunque  interessi  pubblici;  cosicche' la scelta
 operata dal legislatore con la legge n.  205  del  1999  esprime  una
 valutazione  di minore interesse sociale per il reato di furto, tanto
 da condizionare alla proposizione della querela  la  possibilita'  di
 esercitare l'azione penale per tale reato.
   Si e' gia' visto come il trattamento riservato alle due fattispecie
 di  furto,  tanto  sul  piano  sostanziale che processuale, riveli un
 minor rigore nei confronti del reato di furto  militare  e  come,  in
 origine,   entrambi  i  reati  fossero  invariabilmente  perseguibili
 d'ufficio.
   La valutazione di un attenuato interesse sociale per il solo  reato
 previsto dall'art. 624 c.p., insita nella citata legge n. 205, sembra
 aver  alterato  il  preesistente  equilibrio tra i due tipi di furto,
 tanto da far apparire irragionevole a causa della minore gravita' del
 reato  e  della  sua  sostanziale  identita'  con  la  corrispondente
 fattispecie  comune, la persistente perseguibilita' di ufficio per il
 reato furto militare.
   Per quanto riguarda le  condizioni  di  procedibilita',  il  codice
 penale  militare  di  pace  prevede  la richiesta di procedimento del
 Ministro (art. 260, comma 1)  e  la  richiesta  di  procedimento  del
 comandante di Corpo o di altro ente superiore (art. 260, comma 2); in
 effetti,  allo  stato  della normativa vigente, nessun reato militare
 figura sottoposto ad una  condizione  di  procedibilita'  diversa  da
 quelle appena indicate.
   Tale  circostanza, tuttavia, non induce questo tribunale a ritenere
 che la condizione della querela sia, di per  se',  incompatibile  con
 l'ordinamento penale militare.
   In  primo  luogo,  si  osserva  che  l'art.  269 c.p.m.p., dedicato
 all'officialita'  dell'azione  penale,  stabilisce:  "Per   i   reati
 soggetti alla giurisdizione militare, l'azione penale e' pubblica, e,
 quando  non  sia  necessaria  la  richiesta o la querela, e' iniziata
 d'ufficio ...". Al riguardo, la relazione al codice  penale  militare
 (par.  138)  spiega  "che  si  e'  fatto richiamo anche alla querela,
 tenendo presente il caso in cui un reato comune, punibile  a  querela
 della  persona  offesa,  sia soggetto alla giurisdizione militare per
 ragione di connessione".
   Tale intendimento, per il vero, e' stato  vanificato  dai  rigorosi
 limiti  che  l'art. 103, terzo comma, della Costituzione ha assegnato
 alla giurisdizione del tribunali militari per il  tempo  di  pace  e,
 comunque,  implicherebbe  l'inapplicabilita'  della  querela ai reati
 militari.
   Si ritiene, tuttavia, preferibile un  approccio  interpretativo  di
 tipo  oggettivo  che, attribuendo alla legge un significato autonomo,
 desumibile  dal  suo  contenuto,  non  obliteri  il  dato  normativo;
 diversamente,  secondo  la teoria soggettiva dell'interpretazione, si
 perverrebbe a risultati caratterizzati da immobilita' e inadeguati al
 mutato contesto in cui la norma  e'  chiamata  a  dispiegare  i  suoi
 effetti.    Di  conseguenza,  si  reputa tuttora operante il richiamo
 della querela, contenuto nell'art. 269 c.p.m.p.
   Per quanto riguarda, poi, le disposizioni sostanziali e processuali
 che disciplinano la querela esse risultano astrattamente  applicabili
 in  ambito  penale  militare  in  virtu'  degli  artt.  16 c.p. e 261
 c.p.m.p.
   Per tutte le considerazioni  svolte,  questo  giudice  a  quo,  pur
 consapevole  dell'ampio  margine di discrezionalita' che caratterizza
 le  scelte  legislative  in  materia  di  condizioni  procedibilita',
 potizza  una  violazione  dell'art.  3  della  Costituzione, sotto il
 profilo della irragionevole  disparita'  di  trattamento  che  deriva
 dalla perseguibilita' di ufficio del furto militare anche nei casi in
 cui  il  corrispondente  reato  comune di furto risulti procedibile a
 querela.
   Il tribunale militare, di conseguenza, ritiene  non  manifestamente
 infondata  e  rilevante  la questione di  legittimita' costituzionale
 dell'art. 230, comma 1, c.p.m.p., nella parte in cui non prevede  che
 il  delitto  di furto   militare sia punibile a querela della persona
 offesa, salvo che ricorra una o piu' delle circostanze di cui agli
  artt. 61, n. 7) e 231 c.p.m.p.